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Dialogo di una prostituta con un suo cliente

È il 1973 quando Dacia Maraini scrive “Dialogo di una prostituta con un suo cliente”.

I Settanta sono i ruggenti anni del movimento femminista: la pratica dei gruppi di autocoscienza, le grandi lotte sociali per l’aborto assistito e legalizzato, per il divorzio, per le pari opportunità nei luoghi istituzionali e nei luoghi di lavoro.  E sono anche gli anni della riflessione sul grande tema della libertà, la sfida necessaria posta dal movimento delle donne.

“Dialogo di una prostituta con un suo cliente” respira la stessa aria di chi marcia in strada con i capelli sciolti e le scarpe rosse. Una giovane Dacia Maraini porta sul palco il leitmotiv della libertà: libertà di scegliere e di decidere, di desiderare. Manila, protagonista della piéce, parla con un cliente, e già questo potrebbe bastare a tracciare una differenza con le stereotipate immagini che, delle prostitute, vengono offerte da romanzi e da battute recitate. È proprio il linguaggio, il dialogo appunto, a divenire strumento di rivendicazione della propria scelta. Rivendicazione del proprio corpo.

Se il consolidato rapporto tra prostituta e cliente è quello di oggetto e soggetto, di oggetto-comprato e di soggetto-compratore, allora l’autrice cerca di assegnare all’ordine un nuovo significato. “Certo che sei tu che compri. Ma a me piace guardare. Sono una guardona, io”, dice Manila.

Ed è come se la donna divenisse lei stessa il soggetto che desidera, il corpo sessuato che acquista.

Non può essere messa in dubbio l’influenza che la riflessione degli anni Settanta –sul corpo e sulla liberazione della sessualità – esercita su Dacia Maraini. La prostituzione, nella misura in cui si presenta come una scelta, sarebbe un lavoro come un altro. Tuttavia, rimane da comprendere se, anche nel caso di una volontà individuale e non eteronoma, sia possibile continuare a parlare di libertà. Se nel rapporto prostituta-cliente, il corpo della donna sia effettivamente non oggettivabile, non riconducibile a una logica del possesso e della subordinazione. E se sia possibile, ancora, riuscire a postulare una condizione in cui non entrino in gioco né le condizioni economiche – nel 1847 Engels scriveva come la prostituta fosse la più “mercificata” del sistema capitalistico- né quelle culturali che, oggi ben presenti e visibili, rendono il corpo delle donne subordinato al modello del piacere e del desiderio maschile.

  • Regia

    Fabrizio Caperchi

  • Interpreti

    Irene Lo Faro

    Franz Cozzi